Omaggio
ad Arturo Reghini
1 Luglio 1946-2006
nel 60° anniversario della morte
Lettera
di un tuo “contemporaneo” discepolo
“Ma perché piene son tutte le carte”
Purgatorio XXXIII, v. 139
Carissimo Arturo, che cos’è una lettera,
se non l’urgenza di comunicare con chi ci è caro, ma
lontano?
Ti scrivo questa mia perché tante sono le cose che dentro
mi urgono e come sai il contatto epistolare tiene legati, annullando
qualunque distanza. Per prima cosa vorrei dirti che ho letto con
attenzione e commozione tutte le tue missive. È vero; non
erano dirette a me, ma da quando ho iniziato ad apprezzare quello
che scrivevi, ho preso anche il vizio di impicciarmi degli affari
tuoi! Così, oltre ai tuoi libri ho conosciuto anche il tuo
vivere quotidiano.
Questa sera, nel giorno del sessantesimo anniversario dalla tua
scomparsa, voglio rivolgermi a te direttamente, come si fa con un
amico oppure ad un fratello che non si vede da tempo, e per questo
sento di essere particolarmente emozionato.
È come se ora, rivedessi davanti a me la tua imponente figura,
mentre da solo – combatti – in piedi ed ad armi pari
– l’ultima tua lotta con il dàimon.
Vedendoti, quasi toccandoti, percepisco il tuo spirito che si stacca
definitivamente dal tuo corpo, allenato da tempo com’era ad
abbandonare le sue vesti corporali, secondo gli antichi e più
segreti dettami pitagorici. Mi è capitato di vedere questa
immagine con gli occhi della mente per una sola volta, ed inutili
sono stati i tentativi di tenerla fissa in me più a lungo,
poiché l’immagine come “misticamente” era
venuta, svanì furtivamente in evanescenza.
Col passare del tempo, ho capito che essa era in fondo la stessa
scena che gli Aurea Versa, i 72 precetti attribuiti a Pitagora,
tratteggiano con lapidaria sapienza quando recitano:
Così se il corpo lasciando, nell’etere libero
andrai
spirituo nume immortale, non più vulnerabile tu sarai.
(71-72 verso)
Non è un caso Arturo, se ho scelto per traccia
di questo mio intervento, la tua ultima lettera indirizzata al tuo
fraterno amico, nonché maestro nella via iniziatica pitagorica,
Amedeo Rocco Armentano.
Credimi, come lui fu per te un Maestro, Tu lo sei stato e lo sei
tuttora per me. In anni di studi e di approfondite letture, nei
tuoi scritti ho ritrovato quello che da sempre andavo cercando:
non le solite esoteriche vuote parole, piene di promesse o di capziose
verità. Parole buone per tutte le credenze, per tutti i gusti
teologici o per slanci pseudo-mistico emotivi. Spesso ed il più
delle volte dietro a quelle dottrine si cela il vuoto più
sconvolgente ed il loro vero scopo è di asservire, piuttosto
che liberare coloro i quali ad esse si rivolgono per risolvere o
lenire magari, i mali di un avverso destino.
È merito della tua vasta opera di divulgazione iniziatica
e metafisica, se ancora oggi l’equilibrato rigore e l’armonico
insegnamento pitagorico sopravvivono come la mitica Fenice in mezzo
al frastornante affollarsi di indefinite “dottrine”
e “tecniche spirituali”, che si presentano come iniziatiche
soltanto per chi non conosce il significato della Vera Via iniziatica
e per loro tramite quelle ignare vittime sono “sballottate
qua e là come su mobili rulli” dai loro stessi
burattinai, “in mezzo ad interminabili urti”
umani, psichici e spirituali (58o verso).
Come l’uomo antico guardava alle Religioni dei Misteri come
ad un faro illuminante la sua desolata e breve esistenza umana,
così noi uomini dell’oggi, secolarizzati dall’assenza
di valori eterni in cui credere, possiamo avvalerci della ricostruzione
sapiente e paziente che tu hai portato avanti a costo d’innumerevoli
sacrifici e privazioni d’ogni genere, con la restaurazione
della Tradizione Iniziatica occidentale, rivivificandone contenuti
e significati, all’interno della compagine Liberomuratoria.
Cercherò ora di dirti con parole semplici, quale è
stato l’insegnamento che ho tratto personalmente dalle tue
opere e dal tuo esempio di vita.
La via pitagorica è caratterizzata dall’equilibrato
connubio tra le forze impiegate. Non per nulla, l’approfondimento
e lo studio dei Versi Aurei, mano a mano che si interiorizzano,
danno come risultato una duplice tecnica: morale e comportamentale
da una parte, ascetica in senso purificatorio e catartico, dall’altra.
La rigorosa disciplina pitagorica prevede tuttavia una rituaria
molto semplice, che consiste in due appuntamenti quotidiani, uno
non appena svegli e l’altro, prima di andare a dormire. Momenti
realizzati entrambi con una presa di coscienza netta e sobria di
tutto quanto ci è accaduto o dovremo ancora compiere, durante
l’arco della giornata. È una tecnica essenziale questa,
in cui la pratica sostituisce ogni e qualunque parola. E la tua
pratica, Arturo, è divenuta per me “parola”,
trascendendola. Il tuo insegnamento, insomma, è il tuo stesso
esempio che ha reso vivente e vitale la frase dantesca: “Ma
perché piene son tutte le carte”.
Ed è proprio con questa frase che chiudevi l’ultima
tua lettera, datata 21 aprile 1946, a soli 70 giorni dalla tua morte,
lettera indirizzata ad Armentano che risiedeva ormai definitivamente
a S. Paolo del Brasile. Combinazione volle che quell’anno
la Domenica di Pasqua coincidesse con il natale di Roma. Questo
ti permise di trovare il tempo e forse anche le forze necessarie,
per rispondere a tua volta, alla lettera che Armentano ti aveva
spedito agli inizi di quello stesso anno.
In questa tua lunga risposta, facevi un’analisi ad ampio raggio
del tuo vissuto, scrivendo praticamente un compendio dei fatti salienti
della tua intensa vita. Ma durante la stesura di questo riassunto,
man mano che esso procede si avverte che sta assumendo sempre più
le forme di un vero e proprio testamento e dal tono s’intuisce
che al di là dei fatti contingenti narrati, il motivo evidente
era quello di poter inviare un ultimo e personale addio all’amico
e maestro Armentano.
È dalle tue stesse parole che apprendiamo quanto tu fossi
consapevole della gravità della malattia che ti stava indebolendo,
ma soprattutto eri pienamente cosciente che quel 21 aprile era certamente
l’ultimo dies natalis di Roma che ti era concesso
di vivere su questa terra.
“Frattanto – scrivevi – anche la
salute mi desta serie preoccupazioni. Da parecchi mesi si è
manifestata una specie di ulcera alla guancia sinistra. Pare, che
la cura vada bene, ma non è ancora finita e se dovesse seguitare,
non avrei i mezzi finanziarii per condurla a termine”.
Si trattava di una tumefazione d’origine tumorale, che portava
con sé già i primi segni di un aggravamento, per la
comparsa di cellule metastatiche ai danni di altri organi. Ma il
rammarico per l’appressarsi della fine della tua esistenza
era da Te vissuta come una stoica liberazione, poiché su
di essa ti esprimevi scrivendo con pacatezza: “Non pare
che la mia vita debba essere lunga; ma è forse meglio così,
perché nelle condizioni attuali non posso far nulla e diventa
sempre più difficile procurarsi il minimo necessario per
l’esistenza, sebbene l’intelligenza, la memoria e la
resistenza al lavoro siano quelle di sempre”.
La descrizione degli ultimi attimi della tua vita,
ce l’ha trasmessa il tuo amico, discepolo e primo biografo,
Giulio Parise che ce la ha comunicata esattamente in questo modo:
“Il primo giorno del mese di Luglio del
1946, lo spi¬rito di Arturo Reghini scioglieva i legami corporei
e pas¬sava nell’Eterna Luce. Era la quinta ora pomeridiana.
Il segno era apparso. Arturo Reghini si volse, al Sole declinante
per l’ultimo saluto, per l’ultimo rito; poi si appoggiò
con la destra al vicino scaffale, piegò la gigan¬tesca
statura verso la Gran Madre, ed eretto il busto; fu libero”.
In una recente biografia scritta su di Te ed edita
dalla storica casa editrice Atanòr, l’Autore assimila
questa descrizione della tua morte alla stregua di un “racconto
sacro…dal solenne epilogo”. Sempre secondo l’Autore,
queste notizie sarebbero servite a creare strumentalmente
quell’alone di mitizzazione della tua figura che sarebbe dovuta
scaturire di lì a poco, fra i tuoi ammiratori ed agiografici
conoscenti, facendoti toccare quasi l’apoteosi di un “eroe
greco”, con la conseguente tua “trasformazione
in un disincarnato semidio”.
Ritengo di poter affermare al contrario, che quella “epica”
descrizione di Parise fu determinata da diversi fattori, ma è
da escludere in modo categorico che questi siano stati di natura
agiografica o di mitopoiesi. Tra l’altro, saresti stato tu
stesso il primo – non è vero, Arturo? – a non
apprezzare il tentativo di farti passare per un Guru, per un Maestro
o per chissà quale altra cosa.
In una tua lettera, inedita per noi fino a pochi mesi or sono, avevi
scritto molto chiaramente cosa pensavi del malvezzo di esaltare
la figura del proprio maestro spirituale, da parte dei suoi discepoli.
Dicevi a questo proposito: “A questa venerazione non è
prudente dare eccessiva importanza, perché la tendenza alla
esaltazione del Maestro è comune a tutte le scuole e se nel
[caso] di Pitagora o di Laotzeu, di Mazzini o di Rama Krisna
può ritenersi giustificata, in altri casi è sicuramente
immeritata.”
Al di là di questo, penso dunque che Parise ebbe ben chiaro
in mente di evocare nel lettore un profondo rispetto, destandogli
un’emozione pari almeno a quella evidentemente provata da
lui stesso per essere rimasto “orfano” – diciamo
così – del suo illustre maestro. Sia detto poi qui
per inciso: quello che scrisse Parise all’indomani della tua
morte e sugli ultimi momenti della tua vita, era il puro e semplice
resoconto di quanto ne aveva riferito l’unico testimone oculare
lì presente che, come ben sai, fu la prof. ssa Camilla Partengo.
È evidente che lo scopo che dettò a Parise quelle
scarne ma emblematiche parole, fu quello di conservare il più
a lungo possibile la memoria della tua esemplare grandezza, fortezza
umana e pitagorica insieme, che erano state in te sempre d’altissimo
livello, né mai ti fecero difetto. Inoltre quei supremi momenti
sarebbero dovuti essere, e potuti servire di monito e d’augusto
esempio a chiunque abbia oggi come ieri, profonde e sincere velleità
nel campo della spiritualità e della metafisica.
Carissimo Arturo, concludo qui questa mia lettera
apponendovi un messaggio che spero sia augurale: voglio uscire dal
fideismo religioso che oggi vela più che mai le iniziatiche
Istituzioni e come Te ed insieme a Te, perseguire la vera Via Tradizionale.
Sperimentare per Conoscere e non per credere. Praticare in silenzio
gli Antichi Detti, poiché mai come oggi… le
Carte sono davvero piene.