GNOSTICISMO E POLITÉIA:
LE ORIGINI ARCAICHE DEL SOCIALISMO
Che il ventesimo secolo abbia fatto una cernita delle
idee del passato salvando solo quelle funzionali al processo di crescita
delle società industriali è ancora ritenuta una verità
incontestabile. Ad accentuare questa convinzione contribuisce anche
il fatto, ritenuto incontrovertibile, che il più grande movimento
politico-sociale del ventesimo secolo, quello socialista, pur in funzione
essenzialmente antagonista al processo sopra descritto, si è
sviluppato su basi essenzialmente materialiste e, almeno nelle intenzioni
dei suoi propugnatori, razionaliste All'interno del processo dialettico
tra borghesia e proletariato, pur attraverso le esperienze storiche
contrastanti del liberismo economico e della pianificazione collettiva,
sarebbe stata comunque espressa da entrambe le parti una ideologia tecno-materialista.
Quanto questa analisi sia superficiale non è qui il caso di sottolineare.
Basta per questo ricordare che proprio nel corso dell'ultimo secolo
la cultura "borghese" ha espresso forme di pensiero per nulla materialiste
o razionaliste, dal neoidealismo alla psicanalisi e ai movimenti artistici
d'avanguardia. Tuttavia, pur nella sua superficialità, tale schema
sembra presentare un termine ancora indiscusso: la natura essenzialmente
"materialista" del movimento socialista e la totale rottura che questo
avrebbe operato nei confronti di quanto espresso dall'uomo nelle società
antiche e preindustriali sia sul piano dei valori sia su quello delle
rappresentazione di questi attraverso le forme simboliche. Il che è
sicuramente vero se ci riferiamo ai fondamenti teorici del marxismo,
meno vero se teniamo presente le numerose correnti non marxiste del
socialismo utopista, con il loro retroterra mitico e a volte anche religioso.
Anzi, una attenzione diversa su alcuni aspetti non trascurabili del
movimento socialista può portarci a riconoscere, all'interno
delle sue aspirazioni, la presenza di motivi, espressi anche in forma
simbolica, ereditati da remote tradizioni del passato. Evidentemente
non svolgeremo tale ricerca sui testi teorici marxisti, questi si espressione,
in buona parte, della volontà di recidere i legami con il retaggio
spirituale del passato, bensì sulle più profonde istanze
libertarie ed egalitarie manifestate dalle classi sociali più
sfruttate nel corso della rivoluzione industriale e sul modo in cui
la lotta politica è stata in concreto vissuta. In quest'ottica
il socialismo, ben oltre le teorizzazioni marxiste e leniniste, ci appare
come lo sforzo, da parte di una parte consistente dell'umanità
più esposta alle sofferenze materiali, di ristabilire la sostenuta
originaria eguaglianza tra gli uomini attraverso la modificazione delle
strutture economiche in senso collettivista, in maniera tale da garantire
la fruizione delle ricchezze materiali da parte di chi le ha concretamente
realizzate. All'origine del socialismo quindi troviamo l'affermazione
e il ricordo di un'età, o di uno stato di natura, nella quale
gli uomini erano uguali e godevano della natura in parte eguale. Vediamo
poi stigmatizzato un processo che ha portato all'accumulazione delle
ricchezze nelle mani di pochi e infine vediamo prospettata la concreta,
reale ed effettiva possibilità, da parte dei molti sofferenti,
di ristabilire, anche al prezzo di una rivoluzione violenta, la giustizia
originaria.
Non nascondo il fatto che anche questa può essere una
semplificazione delle caratteristiche del movimento socialista, tuttavia
credo che essa ne contenga gli aspetti fondamentali.
Le teorizzazioni marxiste, a base rigidamente materialista,
hanno svolto senz'altro un ruolo fondamentale nel movimento operaio,
tuttavia è difficile affermare che queste abbiano modificato gli aspetti
fondamentali del socialismo, che, vale la pena di dirlo, esisteva già
prima di Marx. Inoltre anche alcuni programmi marxisti presentano delle
sorprendenti analogie, almeno nel modo in cui sono stati propagandati
nelle vulgate di partito, con correnti di pensiero del passato a sfondo
essenzialmente religioso.
Credo si possa sostenere che il mito fondamentale del
socialismo sia l'uguaglianza. In particolare l'uguaglianza tra gli uomini
in virtù della loro comune partecipazione alla produzione di
beni materiali attraverso l'attività lavorativa. Significativo
è l'abbondante ricorso, da parte dell'iconografia socialista,
di simboli legati all'attività lavorativa.
Falce, martello, qualche volta il libro, eccezionalmente
il compasso, compaiono assieme al sole nascente di una nuova era , su
uno sfondo invariabilmente rosso. L'avvenire viene prospettato, persino
nelle asciutte pagine di Carlo Marx, con caratteristiche non meno affascinanti
del paradiso dei monoteisti. In un certo senso, il futuro socialista
è il completo capovolgimento positivo di tutte le ingiustizie
della nostra era, con la differenza fondamentale, rispetto all'aldilà
cristiano, che questa condizione può essere realizzata dall'uomo
con le sue forze, qui e subito. Molti hanno evidenziato le radici cristiano-giudaiche
del mito socialista, e non manca chi vede nel socialismo l'ultima eresia
cristiana oppure l'applicazione sociale del messianismo giudaico, con
il quale condividerebbe la concezione lineare del tempo. Anni addietro
il segretario del più grande partito comunista d'Europa accostò
la nascita dell'istituto della proprietà privata al peccato originale
dei cattolici. I detrattori del socialismo ne vedono anche l'indegno
epigono del manicheismo, per il ruolo che vi svolge la lotta di classe,
rappresentazione sociale della lotta tra bene e male, e la conseguente
demonizzazione dell'avversario, a volte privato dei più elementari
connotati umani e pertanto ritenuto meritevole di triste sorte nei gulag.
Vi è qualcosa di vero in tutto questo, tuttavia sono convinto
che nella sua essenza il socialismo sia qualcosa di più antico
e di diverso del cristianesimo, e le somiglianze con la cultura giudaica
riguardino più la sua corrente marxista nella sua particolarità
che non il socialismo in genere. Se dobbiamo ricercare una radice, storica
e simbolica insieme, del mito socialista, dobbiamo ricercarla nella
mitologia pagana dell'età dell'oro, più precisamente nel
regno di Saturno, laddove gli uomini erano tutti eguali, senza servi
e padroni e i beni erano a disposizione in quantità illimitata.
Diversamente dal paradiso terrestre cristiano-giudaico, la fine di tale
condizione non è da ricercarsi nelle colpe umane bensì
nella misteriosa scomparsa del sovrano, destinato a riapparire solamente
di tanto in tanto in periodi brevissimi di ebbrezza collettiva e di
fugace eguaglianza tra gli uomini. Tale età deve comunque ritornare
definitivamente e il regno di Saturno dovrà essere ristabilito,
al termine di un lungo periodo di guerre. A tal punto i servi saranno
uguali ai loro padroni e l'olimpo degli dei sarà abitato da Saturno,
dotato appunto della Falce livellatrice, dall'operoso Vulcano con il
suo Martello e dal rosso Marte.
L'uguaglianza tra gli uomini, la dignità del
lavoro e l'ineluttabilità della lotta, archetipi del socialismo,
rivelano così inaspettatamente il loro volto arcaico, molto più
antico e genuino delle teorie materialiste del diciannovesimo secolo.
Quanto siano stati consapevoli i militanti socialisti del ventesimo
secolo dell'antichità delle rappresentazioni simboliche delle
loro aspirazioni non è comprovabile ma nemmeno del tutto escludibile
a priori; la scelta dei simboli, anche politici, non è mai casuale
e risponde spesso a remote ragioni riposte nell'inconscio collettivo
che riemergono, di tanto in tanto, anche nel secolo materialista desacralizzato.
Quanto sopra esposto, non lo nascondiamo, ha la sua
buona dose di provocatorietà. Sostituire le classiche icone del socialismo
reale, ossia la barba di Marx, le calvizie di Lenin e il baffo di Stalin,
con le inquietanti e, senza provocazioni per nessuno, ben più inossidabili
immagini di Saturno, Vulcano e Marte, veri Dei, sovrani di un mondo
forte di eguali, può sembrare il frutto di fantasia bizzarra. A nulla
varrebbe insistere ricordando che anche il calendario ancora in uso
ci riporta, seppur celatamente, all'aspirazione del ritorno di un era
di eguali, specialmente in occasione di festività carnascialesche e
gaudenti, con uomini travestiti che si fanno gioco delle distinzioni
sociali, del tutto immemori dell'origine saturnale di tali eventi. La
mitologia pagana e il politeismo romano non devono essere utilizzati
al più che per un semplice richiamo suggestivo. Salvo comunque tener
presente che anche in politica esistono gli archetipi e come non è facile
per l'uomo singolo liberarsi delle più profonde strutture di pensiero
che condizionano la sua esistenza, così anche l'umanità , nel corso
del suo procedere storico, ripropone segni, immagini e forme antichissime.
Quello che dell'essenza socialista rimane difficilmente
traducibile, in termini simbolici, è il forte carattere di lotta
che essa sottende. In Carlo Marx e nella sua dialettica storica, ben
più viva e reale di quella vacua e astratta di Hegel, risiede
la forte carica del socialismo moderno. Anche i più feroci detrattori
del marxismo non nascondono la loro ammirazione nei confronti di chi
per primo osò rivoluzionare la funzione dell'intera filosofia
: "Sino ad oggi i filosofi hanno interpretato il mondo, l'essenziale
è tuttavia cambiarlo"; giustamente Gramsci definì il socialismo
come "Filosofia della prassi". Questo carattere dialettico e reale del
socialismo risulta, a prima vista, irriducibile alle tradizioni spirituali
del passato. Abbiamo forse una incontrovertibile prova di assoluta rottura
in termini materialistici della più grande corrente di pensiero
della nostra epoca. Con il socialismo l'uomo diventa il completo artefice
della realtà, senza Dei, spiriti e Provvidenza. Suo compito ultimo
è cancellare l'ingiustizia ed edificare una realtà segnata
dapprima dall'eguaglianza nel lavoro "a ciascuno secondo il proprio
lavoro" e infine dal ritorno di una vera e propria età dell'Oro
"a ciascuno secondo il proprio bisogno". Il tutto in profonda antitesi
con la realtà borghese, segnata dall'egoismo e dall'istituto
della proprietà privata, la quale deve essere superata gradatamente
ma senza ritorno, nell'ottica socialdemocratica, oppure cancellata a
seguito di una rivoluzione violenta, nell'ottica bolscevica. Quindi
due caratteri importanti: la globale negatività della realtà
presente, del mondo così come è, e la lotta radicale,
per il cambiamento e il capovolgimento dei termini dalla dialettica
politica e sociale. Sorprendentemente anche questi caratteri, con una
certa dose di spregiudicatezza, sono rintracciabili in una corrente
spirituale dell'antichità.
Della Gnosi antica si conosce, ancora oggi, poco.
A più di cinquant'anni dalla scoperta di una vasta collezione di testi
nell'Alto Egitto, opera spesso incompleta di diverse scuole di pensiero,
ancora non è possibile tracciare un quadro completo, e forse non lo
sarà mai. La molteplicità delle idee espresse in una forma simbolica
difficilmente accessibile lascerebbe intendere la presenza di più correnti
di pensiero con origine e sviluppi diversi. Il quadro scaturito dalla
scoperta archeologica presenta comunque un dato piuttosto sconvolgente.
Per la prima volta testi destinati a rimanere segreti e sfuggiti alla
furia devastatrice dei vincitori hanno svelato un volto decisamente
inaspettato di correnti religiose in precedenza note solo attraverso
le pagine dei detrattori cristiani e qualche volta ebrei. Per la prima
volta, forse, i vinti hanno potuto di nuovo esprimersi, a distanza di
quasi due millenni, attraverso il potente, anche se misterico, mezzo
della scrittura. Tra le tante cose, è stato quindi possibile
ricostruire, nei suoi termini sacrali, un archetipo sociale e politico
più volte ricorrente nella storia umana : quello delle minoranze radicali
e rivoluzionarie spesso ai margini del potere politico ma non necessariamente
più deboli dal punto di vista culturale. Di tutte le minoranze "sconfitte",
dalle eresie medievali alle streghe dell'età moderna, dalle Amazzoni
alle seguaci di Saffo solo i seguaci della Gnosi, e per puro caso, ci
hanno trasmesso la loro voce. Che questa voce sia stata, nelle forme
e nei contenuti, analoga o simile a quella delle altre minoranze represse
senza eredità, non ci è possibile affermarlo. Non mancano studiosi che
vedono nella Gnosi Antica l'archetipo di tutte le minoranze rivoluzionarie,
tuttavia non ci sentiamo di sottoscrivere un'affermazione così impegnativa,
a prescindere anche dal fatto, non irrilevante, che gli gnostici dell'antichità,
contrariamente ad altre minoranze rivoluzionarie dell'età moderna, non
hanno mai fatto affidamento sui diseredati della società. Quel che invece
ci preme rilevare è il fatto che, in alcune scuole gnostiche, non in
tutte evidentemente, viene prospettato, in termini assai lucidi, quello
che in termini moderni possiamo definire un metodo di analisi della
realtà del tutto finalizzato al suo radicale stravolgimento. Credo di
poter affermare che non esistano, nel mondo occidentale, altri testi
al di fuori delle genesi gnostiche che abbiano operato un così radicale
capovolgimento di ruoli nella definizione della realtà. In talune di
queste lo stesso mondo nella sua interezza appare come il risultato
dell'azione menzognera e malvagia di uno o più perfidi arconti, sovente
identificati nel Geova dell'antico testamento, veri e propri demiurghi
che si frappongono tra l'uomo e la Verità, determinandone la caduta
da un originario stato di beatitudine. Non manca addirittura una genesi
ricostruita dal punto di vista del serpente, questa volta non portatore
di tentazione e inganni bensì svelatore di profonde verità celate o
addirittura ignorate dal geloso e presuntuoso Dio giudeo-cristiano.
L'attuale condizione umana, con il suo bagaglio di mali ed ingiustizie,
non è quindi il risultato di un processo di caduta causato dalla colpa
umana, come nel giudaismo, bensì il risultato premeditato dell'azione
malvagia di potenze sovrumane (il Dio biblico, gli arconti, il demiurgo
e via discorrendo) e nascoste. L'uomo è quindi prigioniero di forze
occulte che lo legano ad una condizione dolorosa e ingiusta dalla quale
la parte migliore dell'umanità può tuttavia liberarsi attraverso un
processo di recupero della consapevolezza del proprio stato originario
di beatitudine. La stessa figura del Cristo assume i contorni del punto
di arrivo di un processo di liberazione alla quale la parte migliore
dell'umanità può aspirare attraverso un radicale cambiamento della realtà.
Il regno dei cieli non è quindi una condizione ultraterrena, bensì lo
stato di liberazione raggiungibile nel corso della vita umana. Il tutto
alla fine di una lunga lotta contro le potenze malvagie.
La Gnosi antica si riferiva senza dubbio all'intera
condizione umana, non solo all'aspetto sociale di essa, e prospettava
un processo di liberazione solo per la componente migliore dell'umanità,
lasciando i più irrimediabilmente legati alla triste condizione di asservimento.
Questo aspetto, come rilevato, la distinguerebbe dai movimenti rivoluzionari
moderni, tutti apparentemente legati all'idea democratica. Tuttavia
una analisi più spregiudicata, e qualche volta provocatoriamente forzata,
della corrente più rivoluzionaria del movimento socialista di ispirazione
marxista, designata in origine col termine leninista e poi comunista
tout court, ci permette di rilevare sorprendenti affinità, non con la
Gnosi antica evidentemente, ma con alcuni degli schemi (archetipi?)
da essa utilizzati per l'analisi della condizione umana e del suo cambiamento,
rielaborati in una chiave più ristretta, appunto quella della condizione
sociale e politica dell'uomo. La concezione leninista della lotta di
classe si distingue da quella socialdemocratica in alcuni aspetti fondamentali.
Mentre per quest'ultima è l'intero proletariato, in quanto classe oppressa
nella sua totalità, che deve prendere coscienza della sua condizione
sociale e attraverso questa presa di coscienza avviare un processo riformatore
che coinvolga le forze quantitativamente maggioritarie nella società,
anche attraverso il metodo democratico della rappresentanza parlamentare,
per la concezione leninista solo una ristretta minoranza organizzata
del proletariato assume l'iniziativa politica in quanto solamente questa
sviluppa una vera e propria coscienza della realtà rivoluzionaria. Da
questa concezione scaturiscono una serie di conseguenze storicamente
assai importanti, anzitutto la funzione del partito politico rivoluzionario
quale minoranza organizzata in grado di imporre, in ragione della sua
egemonia culturale, la propria visione a prescindere dal consenso della
maggioranza dei lavoratori, ritenuta, almeno nelle prime fasi di realizzazione
del socialismo, non ancora matura nella sua presa di coscienza della
realtà. Questo aspetto elitario dei partiti comunisti, mai venuto meno
in nessuna esperienza storica concreta, segna indubbiamente una rottura
rispetto alla tradizione democratica del socialismo. Tale rottura non
si sarebbe mai potuta attuare se non vi fosse stata la profonda convinzione,
da parte dei leninisti, di essere una minoranza particolarmente qualificata
nella promozione del vero bene degli oppressi, al di là della volontà
della maggioranza di questi; e il successo iniziale del comunismo in
molte parti del globo non sarebbe stato possibile se i militanti comunisti,
spesso in minoranza, non fossero stati più che convinti di intraprendere
una lotta definitiva contro il male radicale che attanagliava l'umanità
da tempo immemorabile, appunto l'egoismo proprietario. Di sicuro questa
lotta ha assunto contorni manichei; non solo, spesso il nemico di classe
è stato rappresentato nella forma di centri di potere implacabili e
occulti, in maniera non dissimile da quella con la quale gli gnostici
antichi descrivevano gli arconti responsabili dell'infelicità umana.
Al pari degli gnostici antichi, anche i comunisti hanno sviluppato una
concezione dualista della realtà, pretendendo di identificare la fonte
di tutti i mali in un unico principio. Al pari e più degli gnostici
antichi, i comunisti hanno identificato teoria e prassi immanentizzando
l'intera realtà universale nella palingenesi dell'umanità ad opera di
una minoranza di iniziati.
Andrea Reggio