La visione esoterica dell’ uomo, sia nella cultura
islamica che in quella cristiana, poggia su di un principio
fondamentale, espresso molto chiaramente dal Maestro Eckhart, mistico
del XIV secolo: nell’anima umana esiste qualcosa di non creato e di
non creabile, e se l’anima – intera – fosse tale, sarebbe al tempo
stesso increata e increabile. Questo qualcosa è l’Intelletto. Ciò
che contraddistingue l’essenza dell’uomo ed è al tempo stesso
definito "scintilla divina".
Nell’esoterismo musulmano, in particolare nel
Sufismo, ritroviamo un concetto analogo: Il Sufi, che corrisponde all’Uomo
Universale, è definito il "non creato". Egli è inteso come l’uomo
perfetto, cioè Al-kebritu’l ahmar, lo zolfo rosso,
corrispondente all’opera al rosso degli alchimisti. Per comprendere
questo concetto bisogna far riferimento a quel che intendono gli
alchimisti per risveglio spirituale o opera al bianco: esso
consisterebbe in un processo di purificazione degli istinti, fino al
raggiungimento della identificazione dell’intelletto con la luce
divina o col mentale cosmico. Nell’opera al rosso ritroviamo espressi
questi risultati alla massima espressione, in seguito al graduale
identificarsi con la Luce stessa, Principio dell’intera
manifestazione.
Un concetto cardine dell’esoterismo islamico, che
ha significato nei secoli anche un profondo motivo di contrasto con il
Cristianesimo, è la distinzione fra haqiqak, cioè la verità
esoterica, con la shari’ah, cioè la legge exoterica. Nel mondo
cristiano non appaiono ben distinte le due diverse espressioni
religiose, esoterismo ed exoterismo, entrambe necessarie, sarebbero,
tuttavia, per i mistici islamici percorsi ben distinti: l’esoterismo,
che contiene le verità fondamentali, comuni a tutte le religioni, ma
riservate a pochi eletti rappresenta un vero e proprio sentiero
iniziatico, mentre l’exoterismo enuncia le verità fondamentali della
fede, cioè i sacramenti o le dottrine della fede, destinate alla
salvezza.
Secondo gli esoteristi islamici nel Cristianesimo
storico, con l’istituzione delle Chiese, si sarebbe concretizzato,
quel che era il timore di Cristo stesso, manifestato nella
raccomandazione: "Non date le perle ai porci!", mentre la
dimensione esoterica appare ben espressa nell’esoterismo islamico, sia
nella shia’h, vale a dire la tradizione religiosa affermatasi
maggiormente in Persia e rappresentata dagli Ayatollah, sia in altri
gruppi religiosi, meno consistenti, come quello degli Ismailiti, il cui
capo è l’Aga Khan, che dà un’interpretazione assolutamente
allegorica del Corano, molto vicina al neoplatonismo, in particolare a
Plotino: nella sua concezione emanazionistica l’Imam stesso sarebbe l’incarnazione
dell’Intelligenza creatrice del mondo. Numerose sono anche le
confraternite islamiche, presenti in tutti i paesi arabi, non soltanto
quella dei Sufi, che abbiamo già ricordato e che gode in Occidente di
una grande fama, grazie anche alla diffusione della poesia di Rumi. Esse
esprimono tutte quante una forte tendenza mistica, alla cui base si
avverte l’esigenza di un’unione intima e diretta con Dio, attraverso
esercizi ascetici, ripetizione di versi coranici e meditazione.
A questo punto vorrei brevemente, se mi è concesso,
dare qualche esempio di interpretazione esoterica delle Scritture sia in
ambito islamico che in quello cristiano.
Nella tradizione islamica, le sentenze del Profeta
stesso, quelle definite sentenze sante, ahadith qudsiyah, si
distinguono dalle altre sentenze, perché contengono verità destinate
non a tutta la comunità religiosa, ma soltanto ai contemplativi. Per
questi non soltanto le parole contengono diversi piani di significati,
ma anche le stesse singole lettere, ed i suoni stessi delle lettere e
delle parole esprimono concetti elevati.
Prendiamo ad esempio i primi versi della Sura al-fatihah,
quella di inizio del Corano, altrimenti detta "l’aprente":
""Lode a Dio, Signore dei Mondi, il Clemente e il
Misericordioso, il Re del giorno del giudizio. Te adoriamo e in te
cerchiamo rifugio, guidaci nella retta via". Nel primo verso Dio,
Allah simboleggia nella sua indeterminatezza, l’Infinito nella sua
assoluta trascendenza. Al Clemente ed al Misericordioso alludono,
rispettivamente, con ar-Rahman, il Clemente, Dio che si manifesta
secondo le sembianze del mondo, mentre con ar-Rahim,
misericordioso, corrispondente alla grazia, Dio si manifesta all’interno
del mondo. Sarebbero queste le tre dimensioni della Infinitudine divina.
Dio come Clemente, rappresenterebbe la dimensione statica, come
Misericordioso invece la dimensione dinamica. Il giorno del giudizio, yawm
ad-din alluderebbe al ricongiungimento dell’uomo alla
atemporalità. In essa ritorna a Dio la libertà, data semplicemente in
prestito, ai singoli uomini. L’uomo verrà giudicato secondo la sua
tendenza essenziale, se ciò essa è stata conforme o contraria all’attrazione
divina.
Solo in Dio, a proposito della libertà, coincidono
libertà e atto. Nell’uomo invece questi non coincidono. Infatti l’uomo
è libero di scegliere anche l’assurdo, ma nel momento stesso che ha
scelto non è più libero. Non appena si agisce, nel suo stesso
contenuto o oggetto, la libertà diventa infatti illusoria, tanto più
illusoria quanto più contrasta con la Verità piena, che si ritrova
invece solo in Dio, al di là di ogni oggetto concreto, che viene scelto
ed acquisito da chi si ritiene libero. Esempio: nel momento che si
sceglie un dato oggetto concreto, si rischia di restare schiavo della
propria scelta, mentre chi si innalza verso scelte spirituali sempre
più elevate, in realtà acquisisce sempre di più maggiore libertà.
Chi si abbandona alle sue passioni finisce per restare schiavo delle sue
stesse passioni. La tendenza essenziale, insita cioè nella dimensione
stessa dell’uomo, altro non è che quella che porta l’uomo alla sua
essenza eterna. In questo senso si intende il giorno del giudizio. L’invocazione
finale a Dio che ci guidi alla retta via, intende esprimere appunto l’auspicio
e l’aspirazione al ricongiungimento alla propria Essenza infinita, al
di là di ogni limite spaziale e temporale.
Facciamo adesso, in conclusione, un esempio di
interpretazione esoterica di un passo del Vangelo di Giovanni, Cap. VIII,
58: "Gesù dice ai suoi discepoli "In verità, in verità vi
dico: Prima che fosse fatto Abramo, io sono"". In realtà,
secondo Rudolf Steiner, questo passo dovrebbe più correttamente
intendersi come: Prima che Abramo fosse fatto era l’ "Io
sono", vale a dire ogni essere umano, se ben legge nella
profondità della propria anima, potrebbe scoprire o avere l’immediata
coscienza del suo principio divino. L’uomo comune sente solo quello
che è immediato: tutto ciò che inizia con la nascita e finisce con la
morte. Ma l’iniziato ai Misteri è in grado di contemplare ciò che è
visibile solo nel mondo spirituale e i discepoli eletti di Gesù erano
istruiti anche con queste parole sulla loro dimensione eterna.