SULLA GERARCHIA
La
parola gerarchia ha una storia ormai lunga, che inizia, probabilmente,
nei primi secoli d. C. L’adoperò infatti Dionigi Areopagita
(o Pseudo-Dionigi),1 alla gerarchia egli dedicò due opere:
“(Della) Gerarchia celeste” e “(Della)
Gerarchia ecclesiastica”. Al III capitolo della “Gerarchia
celeste” se ne trova la prima definizione conosciuta.2
Ne parleremo; ma prima avanziamo nel tempo per giungere ai primi decenni
del XX secolo.
In Italia, la parola gerarchia veniva allora ampiamente usata
da ciò che si ricorda come Regime. I capi di quest’ultimo
furono detti gerarchi.
In molti di coloro che crebbero in quegli anni e ne ebbero coscienza,
dopo la caduta del Regime e la fine della Seconda Guerra Mondiale,
la parola cominciò a evocare ricordi quanto meno sgraditi;
lentamente uscì dai vocaboli in uso e fu confinata negli studi,
riservata alla polemica politica e alle memorie.
Oggi parlare di gerarchia e di gerarchi è
possibile quasi solamente in negativo. Sono esse delle parole dal
cui uso si rifugge, per paura, anche quando si potrebbe impiegarle
appropriatamente. Non sono casi isolati; sono parole che hanno una
storia e un destino comune ad altre parole; una storia e un destino
non peggiori di altri. Si pensi a tal proposito alla parola impero
o a fascio, particolarmente nella specificazione fascio
littorio; si pensi anche, in un altro ambito, al sospetto suscitato
ancor oggi dall’uso di parole come patria, bandiera
o infine al recentissimo impiego, volutamente polemico, di parole
come arditi e arditismo che, fra l’altro,
risalgono al primo conflitto mondiale anche se dal Regime vennero
apprezzate, impiegate e celebrate.
È istruttivo soffermarsi sulla parola fascio. Il Fascio
è un antico simbolo etrusco e romano che è poi riapparso
in vari momenti storici fino alla Rivoluzione Francese, in cui è
ampiamente rappresentato. Il Fascio compare anche nell’emblema
del Rito Simbolico Italiano; perciò possiamo dire con certezza
che esso è, almeno per noi, un simbolo sacro.
È accaduto, in seguito, che un movimento politico che ha tratto
da esso il proprio nome si sia impossessato del fascio e ne abbia
fatto un uso del tutto esteriore e quindi profano. Il sacro simbolo
del Fascio Littorio, profanato, venne così svilito. Negli stessi
anni ciò accadde anche al valore di altre parole, alcune già
ricordate.
Non si può non riconoscere nella profanazione di un simbolo
come il Fascio l’effetto di una potente azione antitradizionale
di cui ciò che si conviene di chiamare “il fascismo”è
stato un interprete. Interprete non sempre e necessariamente consapevole,
poiché i fenomeni storici sono sempre complessi, e poiché
è difficile sapere che cosa accadde realmente “dietro
le quinte”, ma pur sempre interprete e tragico interprete, nonostante
il pensiero di coloro che, come Guido De Giorgio, tentarono di nobilitarne
l’esperienza 3. Ad essi ultimi va comunque la riconoscenza di
aver permesso la sopravvivenza della parola; se possiamo ancora avvicinarci
a essa sacralmente lo dobbiamo anche a loro.
L’aspetto quasi religioso delle manifestazioni del Regime, in
ultimo, non può non far pensare ad una violazione, ad un anacronismo
e ad una parodia. Parodia terribile nelle sue manifestazioni e nei
suoi effetti, quando si pensi alla coeve espressioni nell’Hitlerismo
e nelle altre maschere del tempo.
L’effetto duraturo è che, oggi, nessuno separa il Fascio
dal fascismo 4.
E così, oggi, la gerarchia si riduce a un ordinamento
di persone e funzioni in base al principio della subordinazione delle
autorità inferiori alle superiori.
* * *
Le parole hanno una forma
che è qualità, immutabile e hanno un’esistenza
che è anche potenza formatrice e che si sviluppa nel tempo.
Nel tempo infatti una parola può conservare o accrescere la
sostanza che è la sua esistenza; ma può anche perderla;
può assottigliarsi, svanire. Può ridursi infine a ciò
che di più esteriore ha rappresentato. Quel che fu una parola
è ora scheletro, supporto, pura funzione. È un povero
resto, da cui naturalmente la vita si allontana. La parola esce dall’uso.
La forma sopravvive, eterna e immutabile.
“La decadenza del linguaggio è più un sintomo
che una malattia. L’acqua della vita inaridisce. La parola ha
ancora importanza, ma non ha più significato. Viene sostituita
a poco a poco da cifre. Diventa incapace di poesia, inefficace nella
preghiera. I rozzi piaceri soppiantano quelli spirituali.”5
* * *
Gerarchia è
una parola che nacque nella Chiesa e per la Chiesa e la cui forma
discende dall’alto poiché “Ogni buon dono e
ogni donazione perfetta viene dall’alto e discende dal Padre
delle Luci”6
Secondo la definizione del capitolo III delle Gerarchie celesti essa
è “un ordine sacro, una scienza e un’attività
che tende ad identificarsi al Divino e che si eleva all’imitazione
di Esso, in proporzione alle sue forze e in conformità alle
illuminazioni concesse da Dio; perché, se la Bellezza divina,
che è assoluta, buona e fonte di iniziazione, è assolutamente
aliena da ogni discordanza, Essa è anche generosa della propria
Luce con ognuno, secondo il merito, e apportatrice, nella divina iniziazione,
di una perfezione che rende gli iniziati armoniosamente identici alla
sua forma.” 7
La gerarchia È tale (ordine sacro) esclusivamente
in quanto dono di un Principio Sovrumano che Dionigi Areopagita chiama
Principio Iniziatore. Infatti: “…per la nostra adatta
elevazione il Principio Iniziatore, nel suo amore per gli uomini,
ci ha rivelato le gerarchie celesti e, parallelamente al loro ministero
e in rapporto alle nostre forze, ha istituito la nostra gerarchia
a rassomiglianza del loro sacro essere simile a Dio; Egli ha rappresentato
con immagini sensibili le Intelligenze celesti nelle sacre scritture
dei Loghia, in modo da elevarci attraverso le cose sensibili fino
alle realtà intelliggibili e dai simboli che rappresentano
il sacro fino alle cime assolute delle gerarchie celesti.”6
L’esistenza di ciò che poi verrà chiamato gerarchia,
in senso terreno, trae quindi la sua origine dal Principio Iniziatore.
La gerarchia terrestre, trae la propria “forma”a imitazione
delle gerarchie celesti.
I padri che hanno avuto accesso al Principio della Luce ci hanno tramandato
i Loghia 9 e i Loghia ci rivelarono simbolicamente
le gerarchie delle Intelligenze Celesti per la nostra elevazione.
È un dono.
Infine, il Padre, che è il Principio Divino, ci ha fatto un
dono di luce, archetipico e superiore ad ogni principio, che è
la rivelazione in simboli immaginativi, le beatissime gerarchie angeliche.
È infatti impossibile che lo splendore del Principio ci illumini
senza rivestirsi, per la nostra elevazione, di una varietà
di sacri veli e senza pre¬sentarsi in modo a noi adatto e naturale,
secondo la Provvidenza del Padre; “…Lo scopo della
gerarchia è dunque di assimilarsi e di unirsi sempre di più
a Dio, che da essa viene posto a guida di tutta la scienza sacra e
di tutta l’attività spirituale;… ” 10
La Chiesa è gerarchia terrena proprio perché
è stata istituita sulla forma donataci da un Principio Sovrumano,
in quanto riflesso del sacro ordinamento celeste.
In tal senso la parola gerarchia si può applicare alle organizzazioni
iniziatiche.
“Ogni organizzazione iniziatica è in se stessa essenzialmente
gerarchica, tanto che si potrebbe scorgere in un tal fatto uno dei
suoi caratteri fondamentali. La gerarchia iniziatica ha qualche cosa
di speciale in sé che la distingue da tutte le altre gerarchie
nell’ordine profano: ed è che essa è formata essenzialmente
da gradi di “conoscenza”, con tutto quello che implica
questa parola intesa nel suo vero significato (e quando la si prende
nella pienezza di quest’ultimo si riferisce in realtà
alla conoscenza effettiva)”.11
Sono considerazioni che danno da pensare. Con il tempo la sostanza
della parola gerarchia, dobbiamo riconoscerlo con dolore,
è svanita12 e la parola è divenuta un simulacro, un’orma.
Il processo di esteriorizzazione e di svanimento delle parole –
pensiamo a impero – è intimamente legato al
progressivo e ineluttabile svanimento degli ordinamenti di governo;
entrambi celano il progressivo allontanamento dal Principio ovvero
dalla Sua manifestazione nell’ordine umano che ha loro dato
vita e che solo può conferirgli un qualche grado di realtà13.
“Decadenza storica e disgregazione del linguaggio si condizionano
a vicenda…” 14
Le parole come gerarchia sono però degli indicatori preziosi
per chi sa ancora godere della ricchezza che è conservata nelle
opere che ci sono state tramandate15. È uno sguardo che la
rende disponibile in modo misterioso quello che su di esse si posa,
silenzioso e riverente.
Siamo alla vigilia di grandi avvenimenti. L’Impero e la Gerarchia
non sono più visibilmente “incarnati”; gli occhi
si volgono altrove e i soli “ponti” riconoscibili osservano
un rigoroso silenzio e custodiscono ciò che hanno ricevuto,
adattandosi alle apparenze del mondo.
“È il tempo della ricerca, delle grandi peregrinazioni
e delle partenze, dei profeti veri e falsi, degli attendamenti e dei
campi militari, delle solitarie veglie notturne.”16
Il terreno si sta progressivamente inaridendo. Ma la dottrina, intangibile,
riemergerà quando sarà necessario e allora si udranno
altri nomi per altre esistenze.
* * *
Possiamo ora con gli occhi
della mente guardare al nostro Ordine.
Se riconosciamo in esso l’eredità di un Principio Iniziatore
o, in altri termini, se ci “leghiamo" a un Ordine di origine
sovrumana, lo vivremo come gerarchia e potremo in esso progredire
verso la trasmutazione e la trasformazione; altrimenti esso rimarrà
per noi una pura virtualità, lettera morta, in senso proprio.
La ragione è qui chiamata a una prova di umiltà. Esiste
qualcosa che la trascende. Si può affermarlo anche a prescindere
dalla fede.
L’iniziazione è gerarchia, lo sappiamo, ma non basta;
dobbiamo accettarlo. La riduzione dei tempi rende l’accettazione
difficile; ancor più difficile e riconoscersi in un ordine
sacro. Occorre intelligenza, un lungo profondo lavoro per giungere
all’approdo.
Primus inter pares: è profondamente vero, l’uguaglianza
iniziatica non è egualitarismo.
“Sembra d’altronde che ogni idea di gerarchia, anche
al di fuori del dominio iniziatico, si sia particolarmente offuscata
nella nostra epoca, ed altresì che sia una di quelle contro
cui si accaniscono in modo speciale le negazioni dello spirito moderno,
il che in vero è perfettamente conforme al carattere nettamente
antitradizionale di questo spirito, carattere di cui in fondo l’“egualitarismo”in
tutte le sue forme rappresenta semplicemente uno degli aspetti. È
nondimeno strano e quasi incredibile, per chiunque non sia sprovvisto
di ogni facoltà di riflessione, vedere questo “egualitarismo”
ammesso apertamente e proclamato anche con insistenza dai membri di
organizzazioni iniziatiche che, per quanto possano essere diminuite
o anche deviate da molti punti di vista, conservano pertanto necessariamente
una certa costituzione gerarchica, in mancanza della quale non potrebbero
sussistere in alcun modo.”17
Viator
(A. C.)
1. A Dionigi Areopagita
è ascritto il Corpus dionysiacum, che comprende: Gerarchia
celeste, Gerarchia ecclesiastica, Teologia mistica e Epistole.
Poiché si ritiene difficile identificare con sufficiente certezza
l’autore con Dionigi Aeropagita, esso è spesso ricordato
come Pseudo – Dionigi.
2. Dionigi Areopagita, Gerarchie celesti, Tilopa, Roma, 1994;
capitolo III, pag. 29.
3. Guido De Giorgio, La tradizione romana, Flamen, Milano,
1973.
4. Ernst Junger nel romanzo Eumeswil, Guanda, Parma, 2001;
pag. 39 nota che "Il suffisso ismo ha un significato
restrittivo: accresce la volontà a spese della sostanza."
Ciò è particolarmente vero nel caso della parola fascismo
e va nel senso della riduzione e dello svanimento di cui alla nota
12.
5. Ernst Junger, Eumeswil, Guanda, Parma, 2001; pag. 77.
6. Dionigi Areopagita, Gerarchie celesti, Tilopa, Roma, 1994;
capitolo I, pag. 15.
7. Dionigi Areopagita, op. cit. capitolo III, pag. 29.
8. Dionigi Areopagita, op. cit.; capitolo III, pagg. 17-18.
9. I Loghia sono, in senso vetero testamentario, ciò
che viene detto da Dio, la Parola di Dio.
10. Dionigi Areopagita, op. cit. capitolo III, pag. 29.
11. René Guénon, Considerazioni sulla via iniziatica,
Basaia, 1988, pagg 362.
12. Sullo “svanimento” ha scritto Ernst Junger,
in Oltre la linea, Adelphi, Milano, 1989, pagg. 74-75: “Il
mondo nichilistico è per sua essenza un mondo ridotto e che
sempre più si va riducendo,… . La riduzione…sarà
sempre avvertita come uno svanimento.”. A pag. 76, poi
egli avverte: “Il fatto che i “valori supremi si svalutano”
porta di conse-guenza a nuove incursioni nel territorio così
svuotato. Questi tentativi possono aver luogo sia nelle chiese sia
in ogni altro campo. … Allora come sotto un Olimpo minore, nascono
religioni sostitutive in numero incalcolabile. Si può anzi
dire che con lo spodestamento dei valori supremi qualsiasi cosa può
acquisire un’illuminazione e un significato liturgici. Non solo
le scienze della natura assumono questo ruolo; prosperano le visioni
del mondo e le sètte; è un’epoca di apostoli senza
missione.”
13. Réne Guénon, Autorità spirituale e potere
temporale, Luni Editrice, Milano, 1995. Nel primo capitolo, intitolato
Autorità e gerarchia, alle pagg 18-19, Réne
Guénon afferma: "Tutto ciò che è, qualunque
sia il suo modo di essere, partecipa necessariamente dei princìpi
universali, e nulla esiste se non per partecipazione a tali princìpi,
i quali sono le essenze eterne e immutabili contenute nella per-manente
attualità dell’Intelletto divino; si può quindi
affermare che tutte le cose, per quanto siano contingenti in se stesse,
traducono o rappresentano i princìpi a loro modo e al loro
livello d’esistenza: altrimenti, non sarebbero che puro e semplice
nulla. … Perciò le leggi di una sfera inferiore possono
sempre essere assunte a simbolo delle realtà di una sfera superiore,
nella quale risiede la loro ragione profonda, che è tanto il
loro principio quanto il loro fine; incidentalmente possiamo segnalare
qui l’errore delle moderne interpretazioni “naturalistiche”
delle antiche dottrine tradizionali, interpretazioni che rovesciano
in modo puro e semplice la gerarchia dei rapporti tra i differenti
ordini di realtà.”
14. Ernst Junger, Eumeswil, Guanda, Parma, 2001; pag. 77.
Sulla lingua vedi anche la nota 15.
15. Considerazioni illuminanti sull’argomento si possono leggere
anche in Ernst Junger, Trattato del Ribelle, Adelphi, Milano,
1990; capo 34, in particolare: “Si potrebbe dire che esistono
due generi di storia: uno nel mondo delle cose, l’altro in quello
della lingua. E quest’ultimo è superiore al primo non
soltanto, per la visione, ma anche per la forza, per la capacità.
… La lingua non vive di leggi proprie, perché altrimenti
i grammatici sarebbero i signori del mondo. Nel profondo delle origini
il Verbo non è più forma né chiave. Diventa identico
all’essere. Diventa potere creatore. Lì è la sua
forza, immensa e impossibile da monetizzare. Qui possono darsi soltanto
approssimazioni. La lingua tesse la sua opera intorno al silenzio,
come l’oasi si stende intorno alla sorgente. E la poesia conferma
che l’uomo è potuto penetrare nei giardini fuori del
tempo. Di questo, poi, il tempo vivrà.
Perfino in epoche in cui è decaduta a semplice strumento di
tecnici e burocrati, persino quando per simulare una qualche freschezza
prende a prestito le forme del gergo, la lingua rimane indefettibile
nel suo immoto potere. Il grigio, la polvere, coprono solo la sua
superficie. Chi scava più a fondo, in ogni deserto, tocca lo
strato da cui sgorga la fonte. E con l’acqua che zampilla riaffiora
nuova fecondità.”
16. Ernst Junger, Al muro del tempo, Adelphi, Milano
17. René Guénon, Considerazioni sulla via iniziatica,
Basaia, 1988, pagg 360-361. Il capitolo dell’opera da cui è
tratto il brano citato è interamente interessante ed è
intitolato “la gerarchia iniziatica”. Particolarmente
interessante è la nota a pag. 361 che dice: “Questa
costituzione gerarchica è stata alterata di fatto dall’introduzione
di certe forme “parlamentari” prese dalle istituzioni
profane, ma tuttavia essa sussiste sempre nell’organizzazione
dei gradi sovrapposti.”