CENNI SUL
SIMBOLISMO DELLA "VITA NUOVA" DI DANTE
Si
ripete spesso nei nostri templi che la Massoneria si riconnette ad
una lunga ed affascinante tradizione iniziatica ed esoterica sviluppatasi
nel corso dei secoli e dei millenni, che si articola in una pluralità
di filoni diversi tra di loro nei dettagli simbolici e rituali ma
all'interno della quale è senz'altro possibile ravvisare un duplice
denominatore comune, rappresentato proprio dalla natura iniziatica
ed esoterica degli insegnamenti e delle pratiche.
Molti cultori di scienze esoteriche ritengono che uno di questi filoni
si sia manifestato nell'Europa meridionale, ed in particolar modo
nell'Italia centrale, nel periodo tardomedievale, e si tratterebbe
dei cosiddetti "Fedeli d'Amore".
In sostanza in età tardomedievale, tra il Duecento ed il Trecento,
si sviluppò in Italia la corrente poetica conosciuta come "dolce stil
novo", che ebbe proprio in Dante il suo esponente di maggior rilievo,
e che come è noto contemplava una produzione poetica essenzialmente
di argomento amoroso, dunque lode della donna amata, spesso rappresentata
con immagini affini ad un'iconografia di tipo angelico.
La tesi dei suddetti studiosi è che il "dolce stil novo", e più in
generale la poesia amorosa tardomedievale, sarebbe la proiezione esterna,
nel mondo profano, di un Ordine iniziatico ed esoterico denominato
appunto "Fedeli d'Amore", a cui sarebbero stati affiliati tutti gli
esponenti più autorevoli di tale letteratura, da Dante Alighieri a
Guido Guinizelli, da Guido Cavalcanti a Brunetto Latini, fino ad arrivare,
secondo alcuni, addirittura a Petrarca e Boccaccio.
Secondo tale ipotesi l'intero complesso tematico trattato da tali
poeti non sarebbe altro che un insieme di simboli attraverso i quali
tali iniziati occultavano il percorso di elevazione verso il divino
che essi compivano, per cui Amore, scritto con l'iniziale maiuscola,
sarebbe un simbolo divino, il sentimento amoroso, il desiderio dell'iniziato
di tendere verso l'Ente Supremo, la donna amata il trait d'union tra
Questo e l'umano, il profondo sconvolgimento che l'amante prova di
fronte all'amata lo stato di alterazione della coscienza che l'iniziato
prova, o dovrebbe provare, nell'ambito del proprio lavoro spirituale,
e così via.
In sostanza il simbolismo erotico starebbe ai Fedeli d'Amore così
come il simbolismo muratorio sta alla Massoneria. Il capolavoro di
tale letteratura esoterica sarebbe ovviamente la "Commedia" di Dante,
ma noi ci occuperemo di un'opera giovanile del poeta fiorentino, la
"Vita Nuova", in cui Dante, facendo convivere poesia e prosa, narra,
stando al livello semantico delle parole, la storia del suo amore
per una giovane donna fiorentina, poi prematuramente scomparsa, di
nome Beatrice.
È d'obbligo precisare che l'ipotesi interpretativa alla quale stiamo
lavorando, in quanto ipotesi, potrebbe anche non corrispondere al
vero, la stessa esistenza dei "Fedeli d'Amore" potrebbe rivelarsi
una supposizione infondata, per cui, anche se da ora in poi utilizzeremo
il modo indicativo per semplicità espositiva, non dovremo mai perdere
di vista il carattere ipotetico del nostro discorso.
Incipit
della "Vita Nova" di Dante Alighieri in un manoscritto del XV secolo
(Firenze, Biblioteca Nazionale - ms. Magl. VI, 187, f. Ir)
Ovviamente è estremamente arduo, procedendo alla lettura della "Vita
Nuova", interpretarne nel dettaglio il substrato simbolico senza conoscere,
come noi non conosciamo, i dettagli dei rituali esoterici dei Fedeli
d'Amore, tuttavia il Libero Muratore che si avvicini all'opera con
il proprio bagaglio di conoscenze esoteriche non può non avvertire
la chiara impressione di trovarsi di fronte ad un vero libro sacro,
nel quale, al di sotto del livello semantico delle parole, esiste
un fitto simbolismo esoterico di cui il massone può comunque cogliere
quel segmento che si riferisce non alle peculiarità di quell'Ordine
iniziatico, ma proprio al denominatore comune di tutte le tradizioni
iniziatiche ed esoteriche delle quali in precedenza parlavamo. Del
resto Dante stesso nel nono canto dell'Inferno ci invita ad andare
alla ricerca del senso occulto delle sue parole allorchè dice "o voi
che avete gli intelletti sani / mirate la dottrina che si asconde
/ sotto il velame delli versi strani".
Per quanto semplicistico possa sembrare, il punto simbolicamente più
significativo dell'opera è proprio il titolo, Vita Nuova; nel primo
capitolo dell'opera Dante connette all'inizio del suo amore per Beatrice
l'espressione latina incipit vita nova, inizia una nuova vita, dunque
già nel titolo noi troviamo il cardine di ogni conoscenza iniziatica,
con l'iniziazione, e dunque nel momento in cui si intraprende questo
percorso spirituale ha fine la vita profana condotta fino a quel momento
ed ha realmente inizio una nuova vita.
Altro cardine di ogni esoterismo consiste nel ritenere che la comunità
degli iniziati costituisca una èlite spirituale, e che pertanto ai
componenti di questa èlite, e solo ad essi, debbano essere riservati
gli insegnamenti simbolici, intorno ai quali deve sussistere il più
rigoroso segreto nei confronti del mondo profano spiritualmente inferiore;
ebbene in tal senso la "Vita Nuova" contiene una quantità di spunti
veramente molto abbondante.
Effettuando una selezione molto severa dei punti più significativi
dobbiamo citare il tema molto noto delle donne schermo: poiché è evidente
anche soltanto guardandolo in viso che Dante è preda di un profondo
struggimento amoroso, tutti i suoi conoscenti vorrebbero sapere chi
è la donna verso cui egli nutre tale sentimento, ma Dante è fermamente
intenzionato a mantenere il segreto, a tal punto che lascia circolare
la voce, addirittura da lui alimentata, che la donna amata sia in
realtà un'altra, trova dunque una donna "schermo de la veritade",
affinché il suo segreto rimanga rigorosamente celato, "mi confortai
molto assicurandomi che lo mio secreto non era comunicato" egli dice
nel cap. 5, dunque segreto esoterico nei confronti del mondo profano.
Nel
cap. 9 Dante ha una visione, nella quale gli appare Amore che, avendo
la suddetta donna lasciato Firenze, addirittura indica a Dante una
seconda donna schermo, affinchè il segreto si protragga. Da ciò desumiamo
innanzitutto la straordinaria importanza della conservazione del segreto,
ma anche il fatto che, dato il simbolismo divino di Amore, tale segreto
sia ritenuto assolutamente conforme alla volontà dell'Ente Supremo.
Il segreto va mantenuto perché i profani, spiritualmente inferiori,
ove entrassero in contatto con tali principi non li comprenderebbero,
e magari addirittura ne riderebbero, ed in tal senso è molto significativo
l'episodio del "gabbo", trattato nel cap. 14: Dante è condotto da
un amico ad un banchetto nuziale e quando si accorge che a tale banchetto
è presente anche Beatrice, cade in preda ad un tale sconvolgimento
che le altre donne si "gabbano" di lui, ovvero si prendono gioco di
lui. Dunque ciò che agli occhi di un iniziato è profondo ed intenso,
come gli stati di alterazione della coscienza di cui poi torneremo
a parlare, agli occhi del profano è risibile.
Nello stesso capitolo troviamo un sonetto ricco di "dubbiose parole",
ovvero di parole oscure, a proposito delle quali egli afferma "questo
dubbio è impossibile a solvere a chi non fosse in simile grado fedele
d'Amore; e a coloro che vi sono è manifesto ciò che solverebbe le
dubitose parole", dunque è inutile spiegare il senso delle parole
ermetiche ai profani, perché esse possono essere comprese solo dagli
iniziati, è del resto inutile spiegarlo anche agli iniziati, perché
essi lo possono comprendere agevolmente anche da soli.
Segreto
dunque nei confronti dei profani, ma anche dei fratelli di grado inferiore.
Nel brano suddetto Dante parla di fedeli d'Amore "in simile grado",
del resto già nel cap. 12 Amore appare a Dante pronunciando parole
oscure, e poiché il poeta gli chiede di spiegargli il loro significato
Amore lo gela rispondendo "non dimandare più che utile ti sia", dunque
Dante pur iniziato non può avere accesso a conoscenze che evidentemente
sono superiori al grado da lui in quel momento rivestito.
* * *
L'intero
discorso sull'interpretazione in chiave esoterica dell'opera poggia
naturalmente sul presupposto del simbolismo divino di Beatrice, ed
è proprio su tale tema che passiamo ora a concentrare la nostra attenzione:
una delle cose che maggiormente colpiscono leggendo l'opera è la ricorrenza
quasi ossessiva del numero 9, che ricorre in sostanza in tutti i punti
più significativi della vicenda. Il primo incontro tra Dante e Beatrice
avviene quando i due bambini si trovano nel nono anno della propria
vita, il secondo incontro avviene esattamente nove anni dopo e nella
nona ora del giorno, nel cap. 6 Dante dice di aver compilato l'elenco
delle sessanta donne più belle di Firenze e Beatrice appare non al
primo posto come ci saremmo aspettati bensì al nono, nel cap. 29 l'autore
parla della morte di Beatrice ravvisando nella data dell'evento varie
ricorrenze del numero nove, tra di esse notiamo che la donna muore
nel nono giorno del mese secondo il calendario arabico, e nel nono
mese dell'anno secondo il calendario siriaco, quindi una frequenza
veramente ossessiva di tale numero.
Nello
stesso cap. 29 Dante stesso esplicita il significato di tale numero,
e si tratta di uno dei pochissimi passi in cui l'autore si sofferma
su spiegazioni di tipo simbolico, esordisce dicendo che in base all'astronomia
tolemaica, che all'epoca era ufficialmente accettata dalla chiesa
cattolica, nove sono i cieli mobili, ed aggiunge che il numero nove
ha come radice quadrata proprio il numero tre, sacro per i cristiani
poiché richiama la santissima trinità, quindi in questo caso il simbolismo
divino di Beatrice non è criptato ma esplicitamente indicato, e si
tratta dunque di un passo di inestimabile valore.
Il capitolo si chiude con Dante che aggiunge che ulteriori significati
simbolici del nove potrebbero essere colti "per più sottile persona",
ma questi sono quelli che egli individua, "questa è quella ch'io ne
veggio": come si ripete spesso nei templi massonici, ogni simbolo
ha una pluralità di significati e la sua interpretazione deve essere
autonomamente sviluppata dal singolo iniziato.
Anche
al di là del simbolismo del nove sono molteplici i riferimenti alla
natura celeste di Beatrice. Uno degli esempi più significativi è rappresentato
dal celeberrimo sonetto "Tanto gentile e tanto onesta pare", in cui
leggiamo "e par che sia una cosa venuta / dal cielo in terra a miracol
mostrare"; naturalmente molti altri sono i passi paradigmatici a tal
fine.
Dunque
il sentimento dell'amante verso l'amata come simbolo di un percorso
interiore di elevazione verso il divino.
*
* *
Percorso che, come molti cultori di scienze esoteriche ci insegnano,
non può svolgersi solo ed esclusivamente nell'ambito della coscienza
e della ragione, facoltà che ci conducono molto lontano, ma che hanno
delle "colonne d'Ercole" per superare le quali è necessario che la
ragione ceda il posto all'intuizione intellettiva, che naturalmente
non nega la ragione in nome di ciò che le è inferiore, come la fede
propria delle religioni da cui a mio avviso gli iniziati dovrebbero
tenersi ben lontani, ma in nome di ciò che le è superiore, ed è altresì
necessario che la coscienza ceda il posto a stati di alterazione della
coscienza medesima che sono ovviamente direttamente proporzionali
alla statura spirituale raggiunta dal singolo iniziato.
I passi della "Vita Nuova" in cui Dante parla di una sua condizione
interiore riconducibile ad uno stato di alterazione della coscienza
sono veramente sovrabbondanti, in tale stato egli viene a trovarsi
ogni qual volta vede Beatrice: nel cap. 3 troviamo il già menzionato
episodio del primo incontro in età adulta tra i due, Beatrice per
la prima volta rivolge a Dante il suo saluto e a quel punto, dice
il poeta, "presi tanta dolcezza, che come inebriato mi partio da le
genti, e ricorsi a lo solingo luogo d'una mia camera, e puosimi a
pensare di questa cortesissima", laddove è da rimarcare innanzitutto
il termine "inebriato", ma anche il bisogno di solitudine che ne deriva,
i lavori rituali possono gettare le basi per l'incontro con il divino,
ma il compimento di tale percorso deve necessariamente avvenire nell'intimità
e nella solitudine della propria meditazione individuale.
Nel cap. 11 Dante si sofferma diffusamente ad analizzare gli effetti
del saluto di Beatrice: parlando tra l'altro di "intollerabile beatitudine",
dice che il suo corpo in quei momenti si muove "come cosa grave inanimata",
e dice che la sua beatitudine "molte volte passava e redundava la
mia capacitade". Dobbiamo del resto aggiungere che molto frequenti
sono nell'opera i momenti in cui Dante ha una visione di Amore (tra
gli altri capp. 9-12-24), ed è ovvio che la visione in quanto tale
non può non derivare da uno stato di sovracoscienza e sovrarazionalità.
* * *
L'ultimo punto da trattare è il seguente: abbiamo parlato di percorso
spirituale, di crescita interiore, come è noto un altro importante
cardine delle scienze esoteriche è rappresentato dall' "indiamento"
(il verbo "indiarsi" tra l'altro è prettamente dantesco), ovvero dalla
possibilità che l'iniziato ha di elevarsi gradualmente al di sopra
della propria umanità fino ad arrivare a sostanziarsi a tal punto
del divino da equipararsi ontologicamente ad esso, a realizzare l'homo-deus.
Ebbene la "Vita Nuova" offre molteplici spunti anche in tal senso:
nel già citato episodio del "gabbo" al cap. 14, quando Dante vede
Beatrice che partecipa al banchetto nuziale ed accede ad uno di quegli
stati di alterazione della coscienza di cui abbiamo appena parlato,
egli afferma che in quel preciso momento Amore, simbolo divino anch'esso,
non si limita ad alterare le sue facoltà sensitive, ma arriva addirittura
a sostituirsi a queste; dunque nel momento dell'intuizione intellettiva
il divino non è semplicemente colto dall'iniziato, ma diventa sua
parte integrante.
Concludiamo la nostra esposizione citando il cap. 20, in cui troviamo
il celebre sonetto "Amore e 'l cor gentil sono una cosa", in cui sin
dall'incipit il poeta stabilisce la piena coincidenza di Amore (ovvero
il divino) e cuore gentile (ovvero spirito dell'iniziato), ed al verso
6 ribadisce "Amor per sire e 'l cor per sua magione", ovvero l'interiorità
dell'iniziato come dimora, come sede naturale del divino nei momenti
apicali della crescita spirituale.
Naturalmente la nostra è solo una piccola selezione dei passi più
significativi ai fini di un'interpretazione in chiave simbolica dell'opera,
uno sviluppo esaustivo del tema non potrebbe certamente aver luogo
nello spazio che una tavola massonica concede, e del quale riteniamo
peraltro di aver senz'altro abusato, ma proprio poiché il lavoro di
decodificazione dei simboli è, come detto, soggettivo, ogni fratello
dell'officina potrà, se lo ritiene opportuno, procedere alla lettura
diretta di questo che davvero potrebbe configurarsi come un "libro
sacro", al fine di individuare nuovi e più profondi significati.
Giovanni
Sorrentino