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Deputato e patriota. Giornalista
e professore di diritto costituzionale, fu deputato dalla 6a alla 9a legislatura.
Cadde combattendo nelle acque di Lissa, nell'affondamento della fregata
Re d'Italia, in qualità di volontario e col grado di sottotenente di vascello.
Pier Carlo Boggio, nato il 3 novembre
1827 a Torino, fu figlio di un veterano dell'esercito repubblicano francese.
Trascorse la prima giovinezza in Svizzera, ove il padre si era stabilito
in volontario esilio. Nel 1846 si recò a Parigi, dove iniziò la sua carriera
di giornalista collaborando alla Gazzetta italiana fondata dalla
principessa Belgioioso. Rimpatriato nel 1848, si laureò in giurisprudenza
a Torino e in seguito ottenne la cattedra di diritto costituzionale che
illustrò pure in libri, pubblicando nel 1852 le Dissertazioni sul diritto,
e nel 1861 il primo (rimasto poi unico) volume delle sue Lezioni di
diritto costituzionale dette nel Regio Ateneo Torinese. Già nel 1848
aveva stretto amicizia con Cavour, che lo volle come collaboratore del
giornale Il Risorgimento sul quale Boggio difese strenuamente le
idee del futuro ministro. Successivamente diresse i tre giornali Il
Conciliatore, L'Indipendente e La Discussione, da lui
fondato con Carlo Michele Buscalioni, anch'egli Fratello della Loggia
Ausonia, giornale dal programma strettamente cavouriano.
Fu deputato nella 6a legislatura
(1858-59) per il collegio di Caluso, nella 7a e nell'8a per quello di
Valenza (1860-65); nella 9a, rieletto a Valenza ed eletto a Cuneo, optò
per Cuneo. Alla Camera sedette a destra: si mostrò caldissimo fautore
dell'unità nazionale e propugnò una prudente politica finanziaria, opponendosi
sempre alle spese non strettamente necessarie (vedi la sua proposta di
500.000.000 di prestito volontario-forzoso pei contribuenti,
Torino, 1865). Parlava con brio e vivacità, riuscendo sempre a cattivarsi
l'attenzione dei colleghi.
Il 29 aprile 1859 il conte Karl
Buol, ministro degli esteri austriaco, inviava una lunga circolare alle
sedi diplomatiche austriache, in cui, fra l'altro, irrideva alle glorie
italiane di Casa Savoia: "L'ambizione d'una Dinastia, la cui vana e frivola
pretesa all'avvenire dell'Italia non è giustificata né dalla natura, né
dalla storia di questo paese, né dal suo proprio passato e presente, non
rifuggì dall'entrare in un'alleanza contro natura coi poteri del sovvertimento".
Il conte denuncia l'"abuso criminoso del sentimento nazionale delle popolazioni
italiane" sistematicamente operato dalla corte di Torino che, grazie ad
una "stampa sfrenata", accusa "ipocritamente le condizioni degli Stati
d'Italia" per attribuire al Piemonte "l'ufficio di liberatore". Il Piemonte
che provoca la guerra non ha affatto a cuore la prosperità della popolazione
italiana, concludeva il ministro, affermando che con la guerra che scatena
il regno sardo s'"impedisce ed interrompe uno stato di regolare impulso
e di svolgimento ripieno d'avvenire". Nel quadro della campagna antiaustriaca
rispondeva Pier Carlo Boggio, incitando gli italiani alla guerra e ricordando
un fatto. L'Austria "ripiena d'avvenire" si era spinta fino a decretare
la leva obbligatoria, e Boggio denunciava: "dopo avere stremati i beni
degl'infelici popoli soggetti alla sua forza bruta", li ha colpiti "nei
sentimenti i più sacri e i più potenti, col rapire ai genitori cadenti
fin l'unico figliuolo, solo sostegno, solo conforto loro". Il fatto è
- e lo stesso Boggio lo ricorda - che l'imperatore austriaco tenne conto
del coro di proteste che accompagnò la decisione della leva obbligatoria
e sospese il provvedimento.
Ben diversamente dall'austriaco
agì Boggio. Nella guerra del 1859, verso la metà di maggio, andò a S.
Giorgio nel Canavese, uno dei due comuni del suo collegio, raccolse e
arringò la popolazione sulla piazza maggiore, e, messosi alla testa di
22 volontari, armati a cura del Municipio, li condusse ad Ivrea, minacciata
dagli Austriaci, prima dell'arrivo dei volontari di tutti gli altri comuni
del Canavese. Lo stesso Pier Carlo Boggio narrò quest'episodio nel 2°
volume della sua Storia della guerra del 1859 (p. 385) e conservò
i nomi dei volontari (p. 571 e cfr. anche La campagna del 1859
intercalata nelle annate 1893-94 dell'Illustrazione militare italiana,
p. 70). Discutendosi nel maggio 1860 alla Camera il trattato di Compiègne,
Boggio propose un voto che dichiarava Nizza e la Savoia altamente benemerite
dell'Italia.
Tranne che nel 1857, quando parve
scostarsi da Cavour dando il proprio nome a quell'aborto che fu il cosiddetto
"terzo partito" (vedi l'opuscolo di Boggio Né ministeriali né retrivi,
Torino, 1857), Boggio appoggiò sempre il grande ministro (che gli dimostrò
in cambio stima e profondissimo affetto), e spiegò i vantaggi della politica
liberale mettendola a confronto con quella retriva del conte della Margherita
(vedi l'opuscolo Avanti o indietro? Storia e confronti:
12 anni d'assolutismo e il conte della Margarita; 10 anni di libertà
e il conte di Cavour, Torino, 1858). Invece verso i repubblicani che
circuivano Garibaldi si mostrò sempre severissimo, e nell'opuscolo Cavour
o Garibaldi? (Torino, 27-29 settembre 1860: si noti la data, posteriore
all'ingresso di Garibaldi a Napoli, anteriore al passaggio dell'esercito
di Vittorio Emanuele nel Reame borbonico), dopo aver dimostrato che l'onore
ed il merito dell'unificazione italiana spettano alla lealtà del gran
Re, al senno di Cavour, all'eroismo di Garibaldi, alla generosità di Napoleone
III, combatte le opinioni contrarie di Brofferio (di cui vedi l'opuscolo
Garibaldi o Cavour?, Milano, 1860, estr. da I miei tempi),
dell'autore del Piovano Arlotto, ovvero di Francesco Domenico Guerrazzi,
e dello stesso Mazzini, mira a separare Garibaldi, sempre leale verso
la monarchia sabauda, dal partito che lo attorniava e cercava di far rimandare
l'annessione dell'ex-regno borbonico e la proclamazione del Regno d'Italia,
finché Roma e Venezia non fossero state liberate, e conclude, non più
con la domanda dubbiosa, con cui l'opuscolo s'intitola, bensì col grido
convinto "Cavour e Garibaldi!". Il noto opuscolo fu in quell'epoca
da tutti proclamato come la più efficace e poderosa difesa della fama
e della politica del sommo statista torinese. Pertanto verso il partito
d'azione, che spingeva Garibaldi a muovere innanzitempo su Roma, Venezia
e Trento, Boggio si mostrò pure severissimo, al punto che non esitò a
biasimare, con tutto il rispetto dovuto, Garibaldi (vedi l'opuscolo Garibaldi
o la legge?: appello al popolo italiano; e l'altro La paura: opuscolo
in continuazione di Garibaldi o la legge?, Torino, 1862; e la risposta
di Carolina Toscani Sartori, Confutazione all'opuscolo Garibaldi o
la legge? di Pier Carlo Boggio, Torino, 1862), che lasciava
fare in onta alla legge, come Giorgio Pallavicino-Trivulzio che essendo
prefetto a Palermo permetteva gli arruolamenti dei volontari garibaldini.
Anzi nel luglio di quell'anno 1862 Boggio interpellò il ministro Rattazzi
sull'azione di Garibaldi e gl'intendimenti del Governo in conseguenza,
e poi in una lettera aperta al marchese Pallavicino Trivulzio, senatore
del Regno, attaccò vivacemente il benemerito patriota, incolpandolo di
non avere ottemperato agli ordini perentori del Governo stesso. Alla lettera
di Boggio - nella Discussione del 29 agosto - rispose Pallavicini
(Risposta di Pallavicini al deputato P. C. Boggio, Torino, 1862,
con la lettera di Boggio riprodotta) giustificando pienamente il proprio
operato. Pier Carlo Boggio fu iniziato nella L.:. Ausonia di Torino il
25 febbraio 1860 (vedi Pietro Buscalioni, La Loggia Ausonia e il primo
Grande Oriente Italiano, Brenner, Cosenza, 2001, p. 48). Franco, impavido,
irremovibile innanzi ai dissensi e ai clamori dell'epoca, fu considerato
"il cavaliere senza macchia e senza paura della Loggia Ausonia" ( vedi
in Op. cit., p. 184).
Quando nel marzo 1861 Vittorio
Emanuele II veniva proclamato re d'Italia, Boggio, collaboratore di Cavour,
così salutava Vittorio Emanuele II: "Principe generoso e magnanimo, Principe
che i popoli salutano Redentore, Principe, innanzi a cui si attutano le
passioni, si dileguano i sospetti, si sciolgono i dubbi, Principe che
ha il dono meraviglioso della fede inconcussa che converte e trascina,
Principe, miracolo dell'età nostra fortunata. Principe che passerà alla
memoria dei posteri col nome di Re Galantuomo".
Nel 1863 il Bollettino del Grande
Oriente Italiano scriveva: "… le nazioni riconoscevano nell'Italia il
diritto di esistere come nazione in quanto che le affidavano l'altissimo
ufficio di liberarle dal giogo di Roma cattolica. Non si tratta di forme
di governo; non si tratta di maggior larghezza di libertà; si tratta appunto
del fine che la Massoneria si propone; al quale da secoli lavora, a traverso
ogni genere di ostacoli e di pericoli".
Anche dopo la morte di Cavour,
Boggio resto sempre più devoto alla memoria e alla politica dello statista
piemontese e fu solito, per indole e per generoso impulso, a trovarsi
sempre all'avanguardia in ogni avvisaglia per difendere e sostenere le
idee del suo partito con l'efficacia della sua parola e dei suoi scritti,
come già aveva mostrato nel 1861 colle sue fiere interpellanze in Parlamento
contro la convocazione delle Società rivoluzionarie a genova e contro
tutto quanto doveva poi venir tentato in seguito in quell'anno da Garibaldi
coi fatti di Samico e di aspromonte.
Nel 1865 Boggio [a sinistra
in una fotografia dell'epoca con il suo immancabile occhialino] visitò
Pio IX a Roma e volle studiare da vicino la popolazione romana (vedi tra
alcuni suoi opuscoli in proposito, La questione romana studiata in
Roma: impressioni, reminescenze, proposte, (Torino, 1865). Oltre,
agli opuscoli già citati, altri Boggio ne pubblicò nelle principali occasioni
politiche (1855, 1859, 1863, 1864), specialmente a proposito della convenzione
del settembre 1864 con la Francia e dei moti che ne derivarono a Torino
(in forma di tre lettere ad Emilio Olivier, allora deputato al parlamento
francese), ma compose anche opere di una certa mole come La chiesa
e lo stato in Piemonte : sposizione storico-critica dei rapporti fra la
Santa Sede e la corte di Sardegna : dal 1000 al 1854 / compilata su documenti
inediti per Pier Carlo Boggio (pubblicata in 2 voll. nel 1854 allorché
maggiormente ferveva nel Regno di Sardegna la lotta fra le due potestà),
da cui si vuole che Cavour traesse la famosa formula Libera Chiesa
in Libero Stato. Nell'opera si assume come punto di partenza che lo
Stato non ha giurisdizione che sugli atti esterni dell'uomo in rapporto
alla sicurezza ed al benessere della società, e la Chiesa non ha giurisdizione
che sulle coscienze ed in rapporto alla salute individuale dell'anima
di ciascuno, onde la società politica e quella religiosa debbono coesistere
parallele ed indipendenti ciascuna nella sua sfera. E si legge altresì
nel mezzo d'una terribile requisitoria contro le mene antipatriottiche
ed anticivili dei gesuiti e della fazione teocratica: "Lo spirito religioso
vuole rendere perfetto l'individuo. Questo principio, trasportato nell'ordine
politico, dà luogo ad una serie di provvedimenti tanto più vessatori ed
oppressivi quanto è maggiore in chi li sancisce la persuasione di agire
nell'interesse di coloro contro i quali son diretti - non v'ha tiranno
più inflessibile e pertinace di colui che si crede avere da Dio il mandato
di governarvi al fine di procurarvi il bene eterno - non libertà di pensiero,
non coltura di studi, non progressi d'industria, non prosperità di commerci,
ma prostrazione, ignoranza, povertà, fiacchezza, tali sono i frutti ordinari
dei governi ieratici".
Di pari mole fu la biografia Da
Montevideo a Palermo: Vita di Giuseppe Garibaldi fino alla presa di
Palermo (che ebbe nello stesso anno 1860 ben dieci edizioni: a Torino,
a Palermo, a Napoli, a Bruxelles e a Londra, a quanto dice lo stesso Boggio
in Cavour o Garibaldi? p. 20 nota, ma noi siamo riusciti solo a
rinvenire, oltre all'edizione torinese, solo un'altra in Catania, stampata
dalla Tipografia C. Galatola), una Storia politico-militare della guerra
dell'indipendenza. italiana: (1859-60) compilata su documenti e relazioni
autentiche (voll. 3, Torino, 1860-67; il terzo vol. con un bel ritratto
dell'autore è postumo).
Importante è anche un commento
alla Leggi provinciali e comunali (in collaborazione col collega
ed amico Antonio Caucino, Torino, 1860). A proposito di quest'ultimo scritto
nell'agosto 1859 Cavour aveva inviato in Lombardia Boggio, affinché prendesse
più diretta cognizione dell'ordinamento amministrativo di una zona nella
quale era forte la tradizione autonomista derivante dalle riforme teresiane.
Ciò non impedì al governo di operare in quella parte d'Italia l'estensione
pura e semplice delle norme sabaude. Lo rilevava, non senza rammarico,
lo stesso Cavour nel maggio dell'anno seguente, intervenendo nel corso
di un dibattito alla Camera. Nell'occasione egli aveva difeso la scelta
di concedere una limitata autonomia alla Toscana, motivandola come rettifica
dell'orientamento errato tenuto dopo l'annessione della Lombardia. Ma
la pratica di estendere la legislazione sabauda ai territori annessi trovò
il suo coronamento nell'emanazione per tutto il regno di un ordinamento
degli enti locali ricalcato sulla Legge Rattazzi (che fu acerrimo avversario
di Boggio) del 1859, emanandosi nell'ottobre 1861 una serie di decreti
che sancirono la svolta centralizzatrice.
Scoppiata la guerra del 1866,
Pier Carlo Boggio decise di prendervi parte volontariamente e il 15 giugno,
ottenuto il grado di sottotenente di vascello, s'imbarcò sulla fregata
Re d'Italia ammiraglia di Persano, a Taranto. La partecipazione
di Boggio alla campagna navale della Terza Guerra d'Indipendenza, voluta
per prendere Venezia e ottenere qualcosa di più in Trentino, fu variamente
giustificata: si disse che lo spingeva il desiderio di decidere come avvocato
le questioni di diritto marittimo internazionale che potessero insorgere,
oppure il desiderio di scrivere con la competenza di un testimonio oculare
la storia della campagna, oppure ancora, come scrisse lo stesso Boggio
all'avvocato Caucino, il desiderio di non lasciare ai soli deputati di
sinistra "il merito di far sacrificio di sé". Amicissimo di Persano che
gli comunicava persino le istruzioni del Governo, scrisse da bordo della
Re d'Italia varie lettere a Caucino, a Depretis, alla moglie, lettere
importantissime per lo studio di quella infausta campagna, benché sinora
siano state variamente interpretate. Quando, trovandosi l'armata ad Ancona
(giugno-luglio), vi arrivò Depretis, Boggio si incontrò col ministro e
difese presso di lui l'ammiraglio, accusato di non aver inseguito Tegethoff
e la sua flotta austriaca, e poi si adoperò per comporre il dissidio sorto
fra i due uomini. Nel consiglio di guerra che si tenne il 14 luglio, lo
stato maggiore italiano intimò a Persano di far qualcosa, pena la destituzione.
Persano decise di attaccare Lissa, un'isola dalmata con un discreto porto,
difesa da parecchie batterie costiere. Nell'ultima sua lettera a Depretis
(19 luglio) Boggio dice di essere stato il giorno 18 sul cassero della
Re d'ltalia, durante il combattimento coi forti di Lissa, dalle
11 del mattino alle 6.30 della sera: "… il vostro umile corrispondente
… le ha in buon piemontese, tirate verdi, con una pioggia di granate
che facevano a un tempo la musica e il ballo. Ma i miei colleghi dal cassero
hanno cantato il dignus est intrare e tanto basta". Notevole è
il presagio di quanto poi avvenne nella lettera a Caucino del 14 luglio:
"... temo che affonderemo gridando, si, evviva al Re ed alla patria, ma
l'Adriatico rimarrà nella padronanza dell'Austria": soprattutto, sosteneva
Boggio, perché l'armata era sprovvista di molte cose necessarie. Per due
giorni, dunque, le navi italiane bombardarono l'isola, senza ottenere
granchè e anzi ricevendo parecchi danni dalle batterie nemiche. Infine
il 20 luglio Tegethoff uscì dal porto di Pola, dov'era ancorata la flotta
austriaca e si schierò innanzi a Lissa. La battaglia non durò che un'ora
e fu diretta da Persano con rara imperizia. La Re d'Italia e la
cannoniera Palestro furono affondate, riportando le navi austriache
pochissimi danni. Né Persano, pur avendo molte probabilità di vittoria,
contrattaccò, ma, scoraggiato e sfiduciato, rientrò in Ancona. I morti
italiani furono 620, quelli austriaci 38, ma degli italiani solo 8 erano
periti combattendo, tutti gli altri annegarono nell'affondamento delle
due navi. Comunque, il 20 luglio Boggio non volle seguire l'ammiraglio
Persano sull'Affondatore e fu uno dei naufraghi della Re d'Italia.
Di lui disse il capitano di fregata Andrea Di Santo, sottocapo di stato
maggiore di Persano e superstite della fregata affondata: "… facendo fuoco
col suo revolver e valendosi dell'occhialino, cercava di vender cara la
propria vita"; e Vecchi della Principe Umberto: "Pier Carlo Boggio
a mala pena reggevasi a galla. Alfredo Bosano, tenente di vascello gli
disse: - Vengo a salvarla; si regga! - Ma abbrancato dal povero Bosano
colò a fondo con lu " (Augusto Vittorio Vecchi, Memorie di un Luogotenente
di Vascello, Firenze, 1897, p. 302) [qui sotto la battaglia di
Lissa in una stampa dell'epoca conservata al Museo del Risorgimento di
Milano

e l'esplosione della "Palestro"
in una stampa dell'Archivio Rizzoli].

Si spegneva cosi una vita onesta
e leale, proprio quando le si veniva schiudendo il più brillante avvenire.
Le carte del Boggio furono salvate da una nave dell'armata austriaca.
Il 5 settembre successivo furono celebrati a Torino solenni funerali in
onore del deputato defunto, al quale la città di Cuneo dedicò sullo scalone
del palazzo municipale una lapide con questa epigrafe: "Questo / monumento
popolare / solennemente inaugurato / dal Municipio addì 3 giugno MDCCCLXX
VIIII / ricorda il nome e le virtù / di Pier Carlo / Boggio / deputato
di Cuneo / al Parlamento Nazionale / oratore infra i primi eloquente/
il quale per carità di patria / soldato volontario nella guerra / dell'indipendenza
italiana / nell'anno MDCCCLXVI / restò sommerso con altri prodi / nelle
acque di Lissa / esempio raro di grandezza d'animo / e di coraggio".
Un busto di marmo gli fu inaugurato nell'università di Torino, con quest'altra
epigrafe: "Pier Carlo Boggio, nato in Torino il 3 febbraio 1827, ebbe
ingegno grande, pieghevolissimo, dottrina vasta e varia, animo arditamente
amico del vero, parola arguta, prontissima, singolare operosità nell'insegnamento
del Diritto Costituzionale. Nella Stampa, nel Foro, nel Parlamento alle
speranze rispose: maggiori ne dava. Perito nelle acque di Lissa, il 20
luglio 1866, accrebbe il lutto e il danno d'Italia".
Oltre alle opere già citate, cfr.
Emilio Pinchia, Pier Carlo Boggio e il suo pensiero civile, nella
Nuova Rassegna, 25 febbraio e 4 marzo 1894. Per la corrispondenza
con Cavour cfr. la raccolta delle Lettere edite ed inedite di Camillo
Cavour pubblicate e illustrate da Luigi Chiala (Torino, 1884-87);
per la collaborazione nel Risorgimento, vedi, oltre a questo giornale,
i Ricordi politici di Giuseppe Torelli (Milano, 1873). Sulla separazione
di poteri fra Stato e Chiesa cfr. Arturo Carlo Jemolo, Chiesa e Stato
in Italia dalla unificazione a Giovanni XXIII (Einaudi, Torino, 1965,
ristampato più volte), ricordando che Cavour, tutto preso dalla vita politica,
non scrisse libri e che chi volesse addentrarsi ulteriormente nell'essenza
della dottrina separatista che ispirava la sua azione, deve consultare
il citato libro del suo fedelissimo Pier Carlo Boggio, La Chiesa e
lo Stato in Piemonte. Cfr. anche di Giovanni Faldella Galleria
piemontese: Libro III. Lo Spirito delle acque e lo Spirito delle
armi. Con un profilo di Pier Carlo Boggio (Torino, 1930) e di Alfredo
De Donno, Vita, pensiero e azione di Pier Carlo Boggio con prefazione
di Roberto Cantalupo (Roma, 1965). Tra le opere di Boggio notevole è pure
il Discorso del Boggio agli elettori del collegio di Cuneo (5 novembre
1865), riassunto delle idee politiche del deputato. Ricordiamo inoltre
De coercitionibus ecclesiasticis (Torino, 1852).
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